Risolsi di tentare ogni mezzo per scoprire chi fosse lo sconosciuto che mi aveva indirizzato quel biglietto. Aveva già osservato da parecchi giorni che un giovine forestiero passava assai spesso sulla via, e sollevava gli occhi alle mie finestre con aria d'imbarazzo; ma egli era sí bello, sí elegante, e pareva esser anche sí ricco, che io non avrei mai osato illudermi che egli vi passasse per me. Io l'aveva d'altronde guardato sí poco e con tanta timidezza, che non era possibile che egli avesse tanto letto nell'anima mia da risolversi a scrivermi quelle parole. Mi pareva follia l'abbandonarmi a quella speranza.
Nondimeno mi convinsi a poco a poco che - fosse egli stato o no l'autore di quel biglietto - quell'incognito mi amava. Era cosí facile l'indovinarlo. Egli non passava che per vedermi - ciò era evidente. In quanto a me, non aveva già piú altro pensiero che il suo. Essere amata da quel giovine mi pareva felicità cosí grande, che ne era quasi atterrita. La sua bellezza sembravami ancora superiore all'ideale che mi era formata di un amante.
Un giorno ripassò sotto le mie finestre cavalcando, mi guardò e mi mostrò con aria d'intelligenza un mazzetto di viole che aveva in mano. La mattina trovai quei fiori sul mio balcone. Dentro vi era un altro biglietto su cui era scritto: "Mi amate? Lodovico". Non v'era dubbio. Era lui, e mi amava. Immagina tu, o Giorgio, l'anima mia!.
In quel tempo, mio cugino, che era maggiore, e aveva ottenuto un anno di disponibilità, conviveva colla mia famiglia.
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Fosca
di Igino Ugo Tarchetti
pagine 213 |
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Giorgio
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