In quel bisogno che io sentiva di giustificare ad ogni costo la sua condotta, quante cose ho attribuito alla mia bruttezza!
Soltanto un mese dopo il nostro matrimonio egli mi aveva annunziato che il governo austriaco aveva posto sequestro sulle sue rendite, per cui diventava necessario esigere da mio padre la riscossione di una parte della mia dote; e m'aveva parlato di questa sventura come di cosa di cui non avrebbe mai saputo darsi pace. Lieta che ciò l'accostasse di piú a me, sollecitai da' miei parenti il pagamento di una somma che costituiva una parte ragguardevole della loro fortuna. Però questo avvenimento non parve renderlo né piú cauto, né piú previdente, né tanto meno piú affettuoso. Le sue abitudini erano anzi peggiorate. Egli rimaneva assente una parte della notte, e non rientrava che al mattino; spesso passavano giorni intieri senza che ci vedessimo; intraprendeva alcuni brevi viaggi senza avvertirmi, e tornatone, mi diceva semplicemente: "Scusa, ho dovuto partire sul momento, un affare di premura...". In una parola era evidente che egli non si occupava punto di me, né sentiva forse tampoco quella specie di attaccamento che nasce dalla convivenza e dall'abitudine.
Aveva però slanci di tenerezza, radi ma vivi; e in quei momenti pareva si dolesse con se stesso della propria freddezza, e si scusava meco de' suoi torti. Appariva in ciò sí sincero, che io non solo tornava a perdonarlo e ad amarlo, ma mi struggeva di trovare in me qualche colpa onde giustificarlo delle sue.
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Fosca
di Igino Ugo Tarchetti
pagine 213 |
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