Ohimè! Io non aveva preveduta la piú grande, la piú crudele, la piú orribile di tutte le sciagure.
Mio figlio viveva, ma io non poteva diventar madre.
La natura mi era stata anche in ciò sí matrigna, che aveva posto ai piaceri del mio amore il prezzo della mia vita. Non solo mi aveva privato della bellezza perché non provassi mai le gioie di un affetto corrisposto, ma mi aveva reso anche deforme perché non godessi nemmeno di quelle piú pure della maternità, che sole avrebbero potuto salvarmi. Sí, o Giorgio, un figlio mi avrebbe salvata. La solitudine delle mie passioni mi ha invece rovinata, perduta!
Ma a che prolungarti questo racconto? Io scampai miracolosamente ad una morte quasi sicura. Lasciai il letto dopo un anno di malattia, incadaverita, consunta come mi vedi. Mio padre morí di crepacuore; mia madre, che non era vissuta che per lui, lo seguí poco dopo. Di mio marito non seppi piú nulla. Io mi riunii a mio cugino che, per avermi fatto conoscere lui l'autore di tutte le mie sventure, nella sua generosità se ne credeva quasi responsabile. Ed ecco la mia storia.
Se io potessi dirti ora la vita che ho vissuto in questi quattro anni di isolamento, tu ne saresti atterrito. Fino allora io era stata una fanciulla, aveva conosciuta nulla del mondo; i miei dolori, benché grandi, erano stati in certo modo compensati da quelle illusioni, che l'inesperienza e la gioventú avevano ancora il potere di crearmi; possedeva ancora il segreto della fatua felicità dei giovani - sapeva sperare; ora tutto era mutato, tutto l'edificio era caduto; io era rimasta sola colle mie passioni, colle mie infermità, colle mie debolezze; con tutte quelle miserie che la natura ha dato alla donna, senza il compenso di una sola delle sue gioie.
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Fosca
di Igino Ugo Tarchetti
pagine 213 |
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Giorgio
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