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      Di quando in quando uno sbuffo di rovaio faceva cadere una pioggia di foglie che l'acqua travolgeva nei suoi vortici, o spingeva verso la riva; il terreno era fiorito di ciclamini, di pratelline, di viole; una pispola cantava sopra il mio capo; io guardava e sognava.
      Era là, seduto da un'ora, allorché alzando gli occhi verso la sommità del burrone, vidi Fosca che stava seduta guardandomi. Io la vidi e non mi mossi. Ella si alzò, esitò un istante, poi attraversò correndo un tratto della riva coperto di acacie e di rovi, mi raggiunse, e si lasciò cadere vicino a me senza parlare.
      - Mi sfuggi? - mi disse ella finalmente dopo un lungo silenzio.
      - No, ma aveva bisogno di esser solo.
      - Perché non avvertirmi?
      - Temeva d'offenderti.
      - Credevi meno offensivo il non dirmelo?
      - Mio Dio! - io dissi - ma tu vuoi mettere il mio cuore ad una prova ben esigente!
      Ella fece atto di alzarsi.
      Io sollevai gli occhi per un movimento quasi involontario, e raccapricciai nel vedere che aveva il volto e le mani tutte coperte di sangue. Nell'attraversare la riva correndo, s'era ferita alle spine delle acacie, s'era lacerati i capelli, e aveva fatto a brani il suo abito.
      - Resta, - io le dissi con voce commossa afferrando le sue braccia - tu sei ferita, tu devi soffrire.
      Ella si guardò le mani senza muoversi, e disse:
      - Non me n'ero accorta.
      Le sciolsi un fazzoletto bianco che aveva al collo, e le asciugai il volto; andai a bagnarne un'estremità nell'acqua, e le lavai le ferite. Ella mi lasciava fare senza dir parola: guardava il torrente cogli occhi fissi e spalancati, e pareva assorta in una strana meditazione.


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Fosca
di Igino Ugo Tarchetti
pagine 213

   





Fosca Dio