- Che hai? - le chiesi io - a che pensi?
Non mi rispose.
- Vuoi che mi getti in quell'acqua? - mi disse ella dopo un momento di silenzio.
- Fosca, - esclamai - non essere cosí ingiusta con me; io, tu lo sai, io ho momenti di tristezza, durante i quali posso essere qualche volta cattivo, ma tu conosci il mio cuore.
- È perché lo conosco, perciò appunto che vorrei liberarti del peso della mia affezione. Forse che io non vedo le tue torture?
Le strinsi la mano senza risponderle, e le dissi dopo un istante:
- Credo che tu te ne sia fatta un concetto esagerato.
- Può essere - diss'ella.
Tacemmo tutti e due per piú di un'ora.
Ella strappava convulsivamente delle manate di erba che gettava nell'acqua, applicava delle foglie sulle sue graffiature, e le levava per vedervi le traccie del sangue. Io guardava il fondo del torrente seminato di macchiette d'alghe che l'acqua curvava scorrendo. Eravamo appoggiati l'uno all'altra, ma sí assorti in noi, sí immobili, che non sentivamo piú il nostro contatto.
Il campanello di una mucca, che venne a pascolare sulla sommità della riva, ci riscosse da quell'assopimento. Quella bestia ci affissava con aria di stupida meraviglia; abbassava il capo, sbrucava una boccata d'erba, poi tornava a rialzarlo, e a guardarci. Ad ogni movimento della testa, il campanello che le pendeva dal collo mandava un suono sordo e malinconico.
Fosca mi disse:
- Perché mi guarda cosí?
- Non so - io risposi sorridendo - guarda pure me.
- Non però tanto fissamente. Ciò mi fa pena, non so il perché, ma mi fa una gran pena, ne ho quasi paura; mandala via, Giorgio, te ne scongiuro.
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Fosca
di Igino Ugo Tarchetti
pagine 213 |
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Giorgio
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