- È vero, - diss'ella - l'autunno e la primavera si rassomigliano. È la stessa cosa che la gioventú e la vecchiezza. Chi sa se a ottant'anni si risentano le passioni di quindici!
- Ma! - io dissi - è però ben certo che si riprovano le stesse debolezze. La vita è un arco, le estremità si assomigliano perché sono vicine. Tutto ciò che vive presenta, nel deperire e nel distruggersi, gli stessi fenomeni che ha presentato nel nascere e nello svilupparsi; si muore come si ha incominciato a vivere, quasi che ciò che noi chiamiamo morte non sia che il formarsi del germe di un'altra vita.
- E queste viole bianche - diss'ella - sono viole da morto, non è vero? Perché i fiori da morto sono tutti bianchi?
Io mi sentiva orribilmente tediato da quelle domande. Il sole tramontava in quell'istante, l'orizzonte pareva in fiamme, i tronchi degli alberi spiccavano vivamente da quel fondo sanguigno ed abbagliante. Io pensava a Clara. Se ella fosse stata con me!
- Non so, - io dissi - forse perché sono i piú mesti e i piú fragili.
- Regalami un fiore.
- Ecco.
Spiccai una primula gialla e gliela diedi.
- Che uccello è quello che canta?
- Mio Dio! Uno scricciolo.
- Come la sua voce è sottile! Che colore ha?
- Credo grigio; eccolo, guardalo lí, su quel ramo.
- Credo che sia il piú piccolo dei nostri uccelli.
- Il piú piccolo.
- Dammi un bacio.
Mi rivolsi, e la baciai con freddezza.
Se ne avvide, mi guardò e mi disse:
- Ti tormento, non è vero? Ebbene ti bacierò io sola.
Mi prese una mano che si avvicinò alle labbra.
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Fosca
di Igino Ugo Tarchetti
pagine 213 |
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Clara Dio
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