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      Fosca aveva compreso la tacita eloquenza di quel contegno; il suo amor proprio le aveva imposto di non tradire la natura de' suoi desideri, ma era però ben facile l'indovinarla. E se adesso ella avesse potuto superare queste esigenze del suo amor proprio? se avesse osato... se la pietà mi avesse vinto?...
      Era ben necessario che io mi fossi risolto a non vederla piú cosí da solo, a non vederla che raramente. Oltre ai pericoli di queste sue visite, oltre alla fissazione terribile che si era impadronita di me e di cui ho già parlato - che essa volesse trascinarmi con sé nella tomba - (e io la vedeva avvicinarvisi, deperire miseramente ogni giorno) m'era pure fisso in capo che lo spavento incussomi da que' suoi accessi nervosi, la vicinanza continua, il contatto, quel non so che di morboso che vi era in lei, avrebbero dovuto, o tardi o tosto, sviluppare in me la stessa malattia. V'erano momenti in cui sentiva salirmi tutto il sangue alla testa, provava un tremito violento in tutta la persona, sentiva un'oppressione terribile al petto, e non poteva sollevarmene liberamente che piangendo dirottamente, e gridando. Che era ciò? Avrei io ereditato da lei questo male? Sarebbe stato questo il premio che avrei ricevuto della mia pietà?
      Cosí io proseguiva a vivere in tali angustie, non rassegnato, non apertamente intollerante, inerte; debole troppo per risolvermi a fuggire quella donna, troppo geloso della mia felicità per sapergliela sacrificare interamente.
      XXXIX
     
      Non so fino a quando avrei durato in quella irresolutezza, se la notizia di un piú grande pericolo non fosse venuta a salvarmi.


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Fosca
di Igino Ugo Tarchetti
pagine 213