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      Mi rivolsi, e rimasi fulminato: era Fosca.
      Essa venne a sedersi vicino a me senza parlare. I suoi capelli erano scomposti, le sue fattezze orribilmente alterate, il pallore del suo volto cadaverico. Gli occhi di tutti i passeggeri si rivolsero verso di lei con aria mista di compassione, di spavento e di meraviglia. Io stesso non l'aveva mai veduta sotto un aspetto sí spaventoso. Se la sorpresa, se il terrore non mi avessero reso impossibile il pensarci tosto, sarei stato ancora in tempo a discendere con lei dalla vettura; ma non m'era balenata alla mente questa idea, che il convoglio era giŕ partito. Io rinunzio a descrivere tutto lo strazio di quella situazione crudele. Ora il segreto della nostra intimitŕ era scoperto; non solo, ma ella aveva abbandonata la sua casa per seguirmi. Se fino a quel giorno io aveva esperimentato la sua dolcezza, ora doveva esperimentare la sua collera: io leggevo ora ne' suoi occhi uno sdegno represso a forza, una fermezza di proposito che non avrei mai potuto supporre nel suo carattere; si era seduta vicino a me, ma non per altro che come per assicurarsi che non le sarei sfuggito. Non mi guardava, né pareva volermi chiedere alcuna spiegazione della mia condotta. D'altronde la sua voce era abitualmente sí debole, che il rumore delle ruote mi avrebbe impedito di sentirla.
      Mi attenni all'unico rimedio che mi era possibile accettare in quel momento. Alla prima stazione che incontrammo, mi alzai e le dissi:
      - Discendiamo, ci fermeremo qui, aspetteremo il primo convoglio che ritorni, parleremo.


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Fosca
di Igino Ugo Tarchetti
pagine 213

   





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