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      - Via, - esclamò egli - voi credete di aver proferito una facezia, avete detto invece una grande verità. Io ho imparato a non dare alcun valore a quei doni che sogliono farsi i ricchi, a quei piccoli sacrifici fatti e retribuiti per convenzione. Quando io era ragazzo era molto povero, non mi vergogno certo di confessarlo. Ebbene, la camera migliore della casa era la mia, quei piccoli agi che poteva permetterci la nostra situazione erano per me; a tavola mi si davano le cose piú squisite; mia madre era instancabile nell'occuparsi di tutti questi piccoli nonnulla che potevano recarmi piacere; quello era il vero affetto - tutto il resto è convenzionale, falso - è apparente. Se un uomo affamato - mettiamo anche semplicemente un uomo goloso - desse a me affamato l'unica costoletta che gli rimanesse per colazione, sento che dovrei essergliene piú tenuto, che se m'avesse dato venti napoleoni dei quaranta che aveva nella sua saccoccia.
      - È vero, - disse Fosca - io credo...
      - Chiedo scusa, - interruppe suo cugino - tu non puoi credere nulla, non puoi essere in ciò un giudice competente; tu non puoi conoscere il valore di una costoletta, giacché non ne hai mai mangiata una intiera in tua vita.
      - Oh, oh, - esclamò il dottore - questa argomentazione è falsa. Converrebbe indagare se un piacere debba essere misurato dalla sua entità, piuttosto che dalla sua durata.
      - Dall'una e dall'altra - diss'io,
      - Sta bene, - disse il colonnello - ma piú assai dalla durata. Farò uno sforzo di logica. Argomentiamo da un caso opposto.


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Fosca
di Igino Ugo Tarchetti
pagine 213

   





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