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      E aveva allora venticinque anni!
      Ma in quella sera era troppo afflitto, aveva troppo bisogno di conforti, per potermi protrarre questo piacere. L'apersi con avida impazienza; ed ecco ciò che conteneva quella lettera terribile:
      Procura di ascoltare con calma ciò che sto per dirti. Abbi tu almeno quella forza che io non ho, e possa non conoscere l'amarezza di quelle lacrime disperate che io verso nello scriverti. Mio buon amico, mio Giorgio, mio angelo, noi non dobbiamo vederci piú, noi dobbiamo lasciarci per sempre. La mia mano vacilla, e il mio cuore s'infrange nello scrivere queste parole.
      Ascolta. Sarò breve, ti dirò tutto piú concisamente che posso, giacché ogni parola che devo dirti mi trapassa l'anima come una lama. Rovesci di fortuna gravi e improvvisi hanno rovinato la mia famiglia. Mio marito è quasi povero. È necessario che tutto sia mutato nel nostro sistema di vita; che io attenda colla mia vigilanza, colla mia assiduità, forse anche col mio lavoro, a quelle economie che mi impone il mio dovere di moglie e di madre. Mio marito ebbe forse dei torti verso di me; io ne l'ho ben punito. Ad ogni modo, ora che egli è infelice, sento il bisogno di riavvicinarmi a lui, e di proteggerlo col mio affetto. La fortuna ha riunito le nostre esistenze, non posso abbandonarlo. Tu stesso, tu mi disprezzeresti. Sono ora otto mesi che ci amiamo. La mia colpa fu lunga, la mia dimenticanza profonda, la mia felicità immensa.
      Tutta una vita non basterebbe a scontare questa felicità (poiché la felicità è cosa che si sconta). Come potrei pretendere di essere ancora felice?


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Fosca
di Igino Ugo Tarchetti
pagine 213

   





Giorgio