Feci un moto come per ritrarmi da lei; ella se ne avvide, ne indovinò il senso e gettandomi le braccia al collo, piegò il mio capo verso il suo, si sollevò sulla punta dei piedi, accostò le sue labbra arse dalla febbre alle mie labbra, e mi coprí di baci brevi, replicati, frenetici. Tutta la sua natura combatteva una terribile lotta di desiderio e d'amore; il suo corpo fragile e consumato dal dolore aveva un'energia che m'impauriva.
La trassi con dolce violenza presso un divano, e la feci sedere; io me le posi d'accanto. Mi afferrò le mani, me le strinse con forza, le accostò al suo seno, poi alla bocca fremente. Il suo corpo tremava tutto.
- Hai freddo? - le domandai commosso?
- Ho paura - mi rispose.
La guardai in volto meravigliato.
- Di che?
- Di morire, di non poter reggere l'urto di quest'onda di felicità che mi opprime. Ho pregato il cielo che mi desse la forza che mi manca; poche ore, poche ore sole, e poi la morte; che importa a me di morire quando io abbia vissuto questa notte nelle tua braccia? Il cielo è generoso, non è vero? Ha pietà di coloro che amano?
Non risposi. Fosca proseguí senza badare.
- Domani tu dovrai partire, domani io morrò. Ma non è che mezzanotte. Abbiamo sei ore innanzi a noi, sei ore per noi, per noi soli, pel nostro amore; poiché tu mi ami, non è vero? tu me l'hai detto.
Mi guardò colle pupille scintillanti di passione. Il suo volto pareva illuminato da un entusiasmo gagliardo che ne rendeva meno sgradevole la deformità; le guancie leggermente rosate, i capelli nerissimi e abbondanti che contornavano il suo volto come in una cornice d'ebano, il vivo contrappunto della sua veste di mussola bianca l'assomigliavano ad una visione fantastica; in quel momento nissuno avrebbe detto che Fosca era assolutamente brutta.
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Fosca
di Igino Ugo Tarchetti
pagine 213 |
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Fosca
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