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      Rispetto allo stile e alla lingua, che tengono oggidì primato d'importanza in un racconto qualsisia, ci siamo sforzati di stare più strettamente che per noi si potesse vicino alla verità. La qual verità noi riputammo consistere nel far parlare ciascheduno secondo la sua condizione e tutti secondo i tempi. Ond'è che al signore o al principe abbiamo posto in bocca un linguaggio fiorito e sentenzioso adorno di frasi studiate e peregrine, e al popolo un parlar basso e ruffianesco misto di solecismi e di arzigogoli d'ogni fatta. Anche in ciò i nostri lettori troveranno quella varietà e diremmo quasi screziatura che tanto piace nella comune dei romanzi. Pel colorito locale e contemporaneo poi ci fu modello la cronaca medesima, alla cui narrazione semplice e concisa attingemmo la maggior parte dei modi di dire, non in guisa però da non poter giurare di aver creato lo stile.
      Inoltre, per accrescere curiosità ai lettori e per dare certa vaghezza al libro, abbiamo avuto cura d'interrompere qua e là il racconto e di saltare da un fatto all'altro, lasciando lacune che la mente dei lettori non riempirà mai. A questo uopo abbiamo religiosamente abbruciato alcuni fogli della nostra cronaca, per poter asserire con fondamento ch'essa è difettosa in alcune parti, e proprio là dove il racconto ha maggior bisogno di essere rischiarato. Tali lacune saranno abbellite da una falange di puntini, i quali oltre al far vaga mostra all'occhio, hanno il pregio di non istancare la pazienza dei lettori. Ben è vero che ove quelle lacune fossero veramente esistite, sarebbe stato facile supplirvi colla nostra imaginazione e compire la narrazione; ma poichè nessun romanziero, per quanto sappiamo, ha mai fatto ciò, noi pure ci siamo trattenuti dal farlo.


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La cà dei cani. Cronaca milanese del secolo 14.
cavata da un manoscritto di un canattiere di Barnabo Visconti
di Carlo Tenca
Editore Borroni e Scotti Milano
1854 pagine 168