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      - mormorò Stefano, poi guardando all'insù - moglie mia - disse - bada che non accada nulla a quella sguajata bestiaccia, se no mal per noi, mettile innanzi da far colazione, e fa in guisa che non fugga di casa. -
      - Vi ubbidirò - rispose la moglie - siete proprio ostinato di voler andare a quella bella festa. In nome del Signore, guardatevi almanco dal parlar troppo, abbiate l'occhio a quelle facce sinistre di que' canattieri, di quegli sgherri, di quegli stipendiati del duca, che mettono la terzana solamente a guardarli. Io non so che pro' vogliate cavarne di questo vostro andare. -
      - Che pro' ne caverò? Dove non fosse altro, imparerò come impicchino i manigoldi del duca, e se il caso volesse che un qualche dì...... Ma via, via, non i sgomentarti Agnese, io porto il berretto fuori degli occhi. In ogni modo è bene l'andarvi, perchè la presenza di facce da cristiani come noi, conforta alquanto negli estremi momenti.... Ah! non mi ricordava che quei poveretti sono senz'occhi! Uf. Andiamo Franciscolo, addio Agnese. -
      Ciò detto, pigliò pel braccio Franciscolo, che parve seguirlo a rilento, ed entrambi scantonarono per avviarsi al luogo dell'esecuzione. Quantunque la morìa fosse di fresco cessata, e non al tutto deposto lo spavento; quantunque un pò per la fame, un pò per la peste la popolazione di Milano fosse ridotta a meno di un terzo, tuttavolta le case non erano tanto deserte che non potessero uscirne un diecimila persone. E tante, e forse più se ne trovavano sulla piazza della Vetra, allorchè vi giunsero per la via del Carrobbio Stefano e Franciscolo.


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La cà dei cani. Cronaca milanese del secolo 14.
cavata da un manoscritto di un canattiere di Barnabo Visconti
di Carlo Tenca
Editore Borroni e Scotti Milano
1854 pagine 168

   





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