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      Ci vuol altro muso che il suo per farmi paura, e non sarei mica malcontento di accomodar oggi certe vecchie partite che so io. Ei crede di farmi l'amico, perchè mi ha condotto in casa quella carogna di cane, che se non fosse per mia moglie e pel povero Marco, avrei già scannato da un pezzo e mandato ad acconciare al fosso della Vetra. Oh! non mi cada tra i piedi quel brutto ceffo di canattiere. - E seguitava di questo pelo, parte gridando, parte borbottando fra i denti accompagnato dalle spinte che l'amico gli dava per farlo tacere. Se non che quando a Dio piacque, arrivarono a quella benedetta officina, e l'armaiuolo lasciato che l'altro se n'andasse, entrò sbuffante in bottega, e gettato il berretto in un canto abbandonossi sopra una panca dov'era solito lavorare. Ivi stette per alcun tempo immerso ne' suoi pensieri, avendo sempre davanti agli occhi l'immagine di quei meschini che davano calci al vento, e riandando tra sè le parole del padre Teodoro che racchiudevano certamente qualche strano mistero. Non già che Stefano avesse un briciolo di speranza nell'ajuto e nella protezione di due frati; egli era armajuolo e manesco troppo per istimare dappiù le parole di un frate di quel che una buona lama ben temperata. - E dove questa non vale che cosa varrà mai? - Con queste parole, che Stefano pronunciò ad alta voce, pose fine alla sua meditazione, e balzato in piedi guardò all'ingiro nella bottega, e appena allora fu maravigliato di non vedervi alcuno de' suoi garzoni.
      - Ehi. Tonio, Martino, gaglioffi sfacciati, dove siete?


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La cà dei cani. Cronaca milanese del secolo 14.
cavata da un manoscritto di un canattiere di Barnabo Visconti
di Carlo Tenca
Editore Borroni e Scotti Milano
1854 pagine 168

   





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