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      - E che cosa dobbiamo dargli, se siamo allo stremo di tutto, se appena abbiamo di che sfamarci quest'oggi, finchè Dio provvede.
      - Eh! per quest'oggi si pranzerà coll'aria. Per un giorno non si patisce, e alla fin dei conti mi preme più il collo che il ventre. Alla Vetra è tuttora in piedi quel tal ordigno, e giacchè non sono stato a vederlo, non vorrei per tutti i pranzi del mondo stringere conoscenza con esso. Intanto, Madonna Cecilia, date qui la boccetta dell'olio, che glielo verseremo per la gola a quel cane mal leccato.
      - Oh! poveretta me, se ne ho appena tanto da accendere il lumiccino stassera davanti l'imagine di santa Radegonda.
      - Or via, le faremo offerta de' nostri stomachi digiuni, e santa Radegonda non ci rifiuterà la sua protezione. Date qui l'olio intanto e guardate di raccogliere quel po' di farina e di grascia che avete, soprattutto cercate di ottenere una scodella di latte.
      - Oh! poveretti noi! sclamò Cecilia, e avviavasi a capo chino. Se non che avvedutosi del suo andare l'armajuolo, sollevò il capo e le disse:
      - Dove vai, Cecilia?
      - Vado di là a pigliare la boccetta dell'olio, e la farina e la grascia e il latte per ristorare un po' il cane, che non si rialzò più dopo quel calcio.
      - Sta bene; così l'avessi acconciato del tutto.
      - E il Duca? disse timorosamente la donna.
      - Hai ragione, Cecilia, rispose l'armajuolo dopo d'aver meditato alquanto; i suoi cani ci mangiano il nostro pranzo, i suoi canattieri ci insidiano le nostre donne, e per soprammercato il Duca ci fa appiccare.


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La cà dei cani. Cronaca milanese del secolo 14.
cavata da un manoscritto di un canattiere di Barnabo Visconti
di Carlo Tenca
Editore Borroni e Scotti Milano
1854 pagine 168

   





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