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      Ma quel tempo passò in un istante, perchè la vita spensierata, specialmente quando uno vi si abbandona per soffocare qualche molesto pensiero, conduce presto alla vecchiaja; e la Marta dovette provarlo, perchè all'epoca del nostro racconto non aveva più di cinquantadue anni, ed era sì stecchita, sì rugosa, sì bruna del volto, che le si avrebbe dato agevolmente una settantina d'anni. Per lo che l'attributo di vecchia s'era naturalmeute e proprio per necessario impulso accompagnato col suo nome di Marta.
      Ora, chiesto perdono ai lettori di tale digressione fatta a bella posta per lasciar tempo a Martino di andare dalla vecchia e rifar la via, facciam ritorno nella casa dell'armajuolo, dove abbiam lasciato tutti pieni di aspettazione e di speranza. E quando diciamo tutti, vogliamo che s'intenda anche il cane, il quale sebbene non sia stato dotato dalla natura di cuore e d'intelletto, tuttavia siam d'avviso che sperasse esso pure la guarigione, perchè teniam per fermo che la speranza debba porsi tra gl'istinti. Egli aveva ritirato un cotal po' le gambe, e, raccosciatosi meglio di prima, erasi abbandonato sul giaciglio con un fare più tranquillo e più rassegnato, il suo respiro non era più così affannato e rantoloso, nè più udivasi quel guaito o lamento che straziava le viscere dell'armajuolo e della moglie, non tanto per compassione di quella bestia, come per sè medesimi. Intanto Martino entrato a furia nella bottega, saliva a tre a tre i gradini della scaletta, e appena affacciato all'uscio gridava:


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La cà dei cani. Cronaca milanese del secolo 14.
cavata da un manoscritto di un canattiere di Barnabo Visconti
di Carlo Tenca
Editore Borroni e Scotti Milano
1854 pagine 168

   





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