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      Se non che Pavia fu presto ricuperata da Galeazzo, il quale seminatovi il malcontento tra la plebe e i signori col mandarvi certo frate a predicare la rivolta, ne cacciò il Marchese di Monferrato e se ne rese padrone. Ma non così facile fu il riavere Bologna, intorno alla quale Barnabò consumò invano tutte le sue forze e i suoi maneggi. Fu questa in lui non solo malvagia ambizione, ma odiosissima ostinazione, giacchè per essa ebbe a sostenere in pochi anni nove guerre sempre rinascenti, a sprecare più che tre milioni d'oro, e più d'una volta ridursi a un pelo di perdere lo stato. Imperocchè e il papa e i Fiorentini e tutte le città vicine che non tenevansi sicure dal Visconte quand'egli fosse stato padrone di Bologna, fecero lega d'interessi e di forze, e chiamarono in Italia Bretoni ed Inglesi, e gli Spagnuoli capitanati da Albornocio, e gli Ungheri con Simone, e finalmente l'imperatore Carlo IV. Le quali lunghissime vicende di guerra non riuscirono nè a danno di Barnabò, nè a vantaggio dei Collegati, perchè il Duca di Milano rotto non lungi da Bologna a s. Rafaello, poi di nuovo a Guastalla, non rimise punto della sua ostinazione e rinfrancossi sempre con nuove genti e con nuovi danari. Anzi uscito vincitore in una battaglia navale sul Po di sotto a Viadana e difesosi accanitamente a Borgoforte contro le armi dell'imperatore, tanto operò, che, rotti gli argini del Po, la corrente traboccò tutta quanta sul territorio Mantovano e vi recò guasti e danni immensi. Ond'è che stanchi dall'una parte e dall'altra e voti di danaro, si venne a una pace generale tra il Visconte e i confederati, della quale fu mediatore Arionisto duca di Baviera, pace piuttosto apparente che vera, e di brevissima durata.


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La cà dei cani. Cronaca milanese del secolo 14.
cavata da un manoscritto di un canattiere di Barnabo Visconti
di Carlo Tenca
Editore Borroni e Scotti Milano
1854 pagine 168

   





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