Il povero Martino, che era di odorato finissimo, ora fatto pių acuto pei lunghi digiuni, era stato attratto nel cerchio di quelle soavi esalazioni, e non udiva nč salmi, nč organi, nč altro, beato di respirare quell'aria pregna di sostanze grasse e odorose.
Intanto il coro dei frati proseguiva: - Fecit potentiam in brachio suo: dissipavit superbos mente cordis eorum. E dopo breve pausa ripigliava: - Deposuit potentes de sede: et exaltavit humiles. - Alle quali parole l'armajuolo fe' tener dietro un sospiro quasi dubitasse della veritā di quella promessa, e paressegli che il Signore non si mostrasse allora quale erasi dichiarato ne' tempi antichi, Signore di misericordia e di giustizia. Anzi quando si venne all'altro versetto che dice: - Esurientes satiavit bonis: et divites dimisit inanes, - sembrogli che il senso di esso facesse troppo a pugni col caso suo, e non ci fu verso che quelle parole gli potessero uscire di bocca. E forse nell'impeto del dolore sarebbe uscito in qualche amara imprecazione, ma quel canto solenne che nel silenzio della sera era ripetuto soltanto dalle vôlte del convento, quella quiete soave e religiosa che diffondevasi da quelle oscure pareti, erano troppo fatte per inspirare mitezza e rassegnazione; talchč al finire del salmo non potč stare dall'unire la sua voce a quella degli altri che cantavano Gloria al Padre, al Figliuolo ed allo Spirito Santo.
- Sentite, mio caro Stefano, prese a dire padre Andrea, intantochč i canti avevano dato luogo, e il priore recitava l'antifona: sarā bene che noi ci ritiriamo di qui ed entriamo nella mia camera, ovvero in quella del padre Teodoro.
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