Che se mai ai lettori nojasse tal digressione e li facesse sbadigliare, la saltino di pič pari, che tant'e tanto il racconto comincierą lo stesso. Anzi, se dobbiamo dire il vero, questo padre Teodoro importuna non poco anche noi, specialmente perchč ci toglie l'agio di fare una magnifica descrizione della cena, accompagnata da varie scientifiche dissertazioni sull'antichitą delle lenti, sul modo di mangiarle, se colla forchetta o col cucchiajo, sulla qualitą del vino, sulla consuetudine di cenare; tutti ragionamenti di somma necessitą in un romanzo storico, e dei quali se ne incontra uno ad ogni capitolo.
Il padre Teodoro usciva da una delle pił riputate famiglie milanesi, crediamo dei Lampugnani, quantunque il nostra cronista lo taccia. Bello e valente della persona, la sua giovinezza era trascorsa tra i piaceri della corte e gli esercizii dell'armi, allora principale ornamento, anzi bisogno dell'educazione giovenile. Ne' giuochi pubblici, ne' tornei, nelle giostre egli tra sempre stato tra i primi, ed aveva riportato sģ gran nome, che quando era bandita qualche giostra, tutti i cavalieri ambivano di averlo a condottiero. La sua conoscenza coll'armajuolo datava appunto da quei tempi, perchč Stefano teneva il primato negli ippodromi, siccome ne' tornei lo teneva il padre Teodoro, o, per meglio dire, Uberto Lampugnani, che tale era il suo nome di nascita. il giovine signore capitava di frequente nella bottega dell'armajuolo a provveder elmi e corazze, o a farle raccomodare, e intrattenevasi volentieri collo Stefanolo, allora giovinetto di primo pelo, e con lui aveva preso una grande domestichezza.
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