Egli aveva combattuto a Casorate sotto il comando di Lodrisio Visconte, in quella fiera giornata in cui Milano fu a un pelo di cadere in podestà dei collegati; era stato con Galeazzo all'impresa di Pavia; poscia con Barnabò all'assedio di Bologna, e in tutti questi fatti erasi coperto di gloria. Lo sviscerato amore che nutriva pel suo paese l'aveva tratto in quelle guerre che sembravangli sante, perchè fatte a difesa della sua terra ed al suo ingrandimento, e l'ambizione di Barnabò gli era parsa sulle prime bella e necessaria a fine di rafforzare una signoria combattuta e pericolante. Se non che quando vide sciuparsi vanamente uomini e danaro intorno a Bologna, e il desiderio di dominio, immenso nel Duca, rivolgersi a danno dei sudditi e tormentarli in mille guise, gli cadde dall'animo ogni divozione pel suo principe, nè più volle seguitarlo in veruna impresa, anzi lasciò affatto il mestiero dell'armi. Allora, fermata stanza in Milano, cominciò ad aprire gli occhi e a scorgere la desolazione del suo paese, e buono e dolce com'era, ingegnavasi di alleviare i mali de' cittadini ora col danaro, ora colla preponderanza del suo consiglio. Nè forse gli sarebbe durato l'animo di rimanere in Milano alla vista di tante crudeltà e di tanti soprusi, se oltre alla carità di patria, un altro e più tenace affetto non l'avesse trattenuto. Il qual affetto era in lui tanto più forte ed intenso, in quanto che da nessuna o almen lieve speranza era alimentato; ed egli lo nutriva in silenzio nè mai accadeva che dagli atti o dalle parole di lui trapelasse.
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