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      - E che cosa importa al duca d'Austria del beneplacito del papa? disse lo Spinola. Non è egli tanto potente da farne senza?
      - E l'interdetto che pesa sulla nostra famiglia? rispose Barnabò, e il breve che proibisce a tutti i principi della cristianità di stringersi in parentela coi Visconti? Non tutti sono della mia tempra, e sanno ridere delle bolle e delle scomuniche. Chi altri avrebbe osato rendere pane per focaccia e far proclamare scomunicato il papa, siccome io feci?
      - È vero, disse il Reina, la signoria vostra ha sempre dimostrato animo invitto e pertinace, e guai se tale non fosse stato.
      - E tuttavia, soggiunse il Duca, che cosa mi son guadagnato? A Bologna dovetti rinunciare una volta per sempre, e fu fortuna l'averne cavato qualche migliajo di fiorini. Quanto al resto non mi posso neppur tener sicuro della signoria, perchè un dì o l'altro l'imperatore, istigato com'è dal pontefice, mi torrà l'investitura e mi dichiarerà caduto d'ogni potestà. Oh! ma prima che arrivi quel tempo, la voglio far veder bella a que' che mi gridano la croce addosso. La fortuna non mi sarà sempre avversa come a s. Rafaello ed a Guastalla. Chi sa che non possiamo tornar in campo di bel nuovo, e riparare all'onta delle sconfitte avute sul Modenese.
      - Ma i soldati? domandò Rodolfo.
      - I soldati! oh, di quelli non dubitare che non vi sarà penuria. Mancano bande mercenarie che girano per l'Italia, pronte a porsi sotto la bandiera di chi paga meglio? Il maggiore dei guai sta nell'aver danaro, e a quest'ora il mio erario è esausto.


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La cà dei cani. Cronaca milanese del secolo 14.
cavata da un manoscritto di un canattiere di Barnabo Visconti
di Carlo Tenca
Editore Borroni e Scotti Milano
1854 pagine 168

   





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