- Ahi! sclamava un ragazzotto di forse tredici anni, non ho le mani di pasta, io. Infine, che cosa ho fatto?
- Ti sta bene, gli diceva un grosso omiciatto, non dovevi ficcarti innanzi; sai però che le guardie ci sono per qualche cosa.
- Asperges me hysopo, et lavabis me, et super nivem dealbabor, borbottava una vecchia raggrinzita e nera del viso come una antica pergamena, la quale ripeteva divotamente i versetti del salmo recitato dai due frati.
- Volete tacere, Agnese, affrettavasi di dirle all'orecchio una grossa comare zoppa di un piede, volete tacere. Non sapete che quei due frati sono eretici, e che il dire le orazioni ch'essi dicono, è peccato?
- Davvero? Eufemia! rispondeva l'altra spalancando gli occhi. Quando è così non apro più bocca, e che il Signore mi perdoni.
- Eh! via, non è poi ben provato che siano eretici, saltò a dire un tale che a giudicarlo dalla ciera doveva essere un pescivendolo, e potrebbe darsi che fossero più eretici quelli che li fanno morire. In ogni caso, il miserere è sempre il miserere, e il bene che si dice frutta sempre.
Tali e somiglianti discorsi teneva la moltitudine, e per moltitudine vogliamo che si intendano quattro garzoni fuggiti a qualche officina, e alcune femmine trattevi dal caso o dalla naturale loro curiosità. I due frati intanto erano giunti davanti a quella specie di viuzza praticata nella catasta, per la quale, quei che dovevano essere abbruciati, entravano fino nel mezzo del rogo per essere così circondati da ogni lato dalle fiamme.
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Agnese
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