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      Lo Scannapecore nell'accennare la prigione alla moglie dell'armaiuolo, volle in certa guisa scusarsi al suo cospetto della durezza usata, e mendicato il più grazioso dei sorrisi, con una faccia tutta compunta, le disse:
      - Duolmi, bella Cecilia, di dover adoperare tanto rigore verso di voi; ma il mio dovere lo impone, e gli ordini del Duca sono precisi. Voi medesima li avete uditi. Se avverrà che siate più umana e ragionevole, farò ogni sforzo per mitigare la vostra prigionia, e cercherò ogni verso per liberarvene. Intanto vi lascio: la notte arreca consiglio, sicchè spero di trovarvi domani con più sani pensieri. Or ora vi manderò il cibo ed un saccone, perchè non voglio che adagiandosi sul terreno patiscano queste vostre membra così dilicate.
      Così parlando le aveva posto familiarmente una mano sulla spalla e la lasciava sdrucciolare giù pel braccio in atto di accarezzarlo. Ma la Cecilia ritrattasi d'un passo, si strinse tutta nelle membra, come se quel contatto l'avesse fatta rabbrividire, e non disse parola. Solo dentro di sè raccomandossi caldamente alla Beata Vergine dell'aiuto, perchè venisse in suo soccorso. Lo Scannapecore fe' mostra di non badare a quell'atto, e voltossi per uscire, dicendo con un suo ghigno beffardo:
      - Addio, bella Cecilia, a rivederci domani.
      Poi chiuse il pesantissimo uscio a doppio chiavistello, e se n'andò. La Cecilia, quando lo vide partito e si trovò affatto sola, diè libero sfogo all'angoscia che l'opprimeva, e ridottasi in un angolo di quella stanzaccia, uscì in lagrime così dirotte che avrebbero mosso a pietà qualunque animo più indurito.


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La cà dei cani. Cronaca milanese del secolo 14.
cavata da un manoscritto di un canattiere di Barnabo Visconti
di Carlo Tenca
Editore Borroni e Scotti Milano
1854 pagine 168

   





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