- Dov'è quel cane? - Essa allora si dà a piangere, mi prega e mi scongiura, che non l'ha fatto a posta, che fu costretta, e cento altre ciarle di tal fatta, tanto che riuscì a dire che il cane c'era, e sapeva in che luogo, ma che bisognava far la cosa segretamente, perchè guai a tutti; infine che tornassimo entrambi domani a sera che ce lo avrebbe consegnato.
- E tu hai creduto a tutte le bugie che colti t'ha infilzato, disse Stefano. Va, non ti credeva sì dolce.
- Eh! non sono poi quel gonzo che credete, rispose Martino. Pure, se aveste veduto come piangeva, e come m'andava supplicando, avreste detto voi stesso che faceva daddovero. E non contento di ciò, l'ho minacciata così fieramente, che varrà la paura se non varrà la coscienza; infine poi l'ho fatta giurare, per tutti i vangeli del mondo, che non ci avrebbe traditi, e se aveste veduto con che fervore invocava il Signore e la Beata Vergine. Sicchè per questo lato son sicuro.
- Orsù, lo vedremo domani, disse Stefano. Ora è tempo che ci corichiamo, perchè tu avrai bisogno di dormire.
Ciò detto, Martino col fanciullo si accomodarono alla meglio sopra il letticciuolo, e l'armajuolo si distese sopra una seggiola, rifiutando a tutta forza di coricarsi. Tutta la notte e tutto il dì appresso passarono senza che nulla accadesse di memorabile, almeno così pare a noi, perchè il nostro cronista lascia a questo punto i suoi personaggi, e non li ripiglia che in sulla sera del giorno vegnente. La quale, poichè fu giunta, Stefano prese commiato dall'abate e da frate Pasquale, diè a portare il fanciullo a Martino, e con lui s'avviò alla volta del Carobbio.
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