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      Anche Martino fu preso da una gran paura, e temendo che le grida del fanciullo non lo scoprissero, si volse per fuggire, nè sapendo dove, incamminossi alla volta della bottega. Ivi, pensava, avrebbe potuto deporre il fanciullo, e poi ritornare in traccia dell'armajuoio. E così fece.
      Stefano intanto a furia di arrabattarsi era riuscito a stramazzare lo Scannapecore, tanto che sentendo una mano libera, raccolse il pugnale da terra, ov'era caduto, e appuntatoglielo alla gola, gli gridò:
      - Ora, raccomanda quella tua sozza anima a Dio, perchè la è finita per te.
      - Oimè! pregava lo Scannapecore, non vogliate uccidermi; che pro ne caverete! Infine io non ho mai tentato di togliervi la vita.
      - Lo so, ribaldo, lo so che volevi togliermi qualche cosa di più caro. Ma, soggiunse Stefano esitando, quasi sdegnasse di domandar ciò al canattiere, e di Cecilia che cosa è divenuto?
      - Oh! quanto a lei, non le fu torto un pelo. Sebbene da quel dì che fu condotta prigione non l'abbia ancora veduta, me ne fo io mallevadore.
      L'armajuolo sentì alleggerirsi d'un peso nell'udire che lo Scannapecore non aveva mai visitato la sua Cecilia, laonde raddolcito alquanto gli disse:
      - Per ora ti dono la vita in grazia della nuova che mi hai dato, ma non isperare ch'io ti lasci libero, soggiunse poi vedendo ch'ei tentava di sollevarsi. Oibò, non sono sì gonzo da guastarmi le uova nel paniere, ora che ve le ho raccomodate. Vieni qui, seguitò a dire trascinandolo in un canto dov'era il letticciuolo. Giacchè hai indossato gli abiti della vecchia Marta, puoi anche giacere nel suo letto, e dormirvi finchè ti svegli la tromba del giudizio.


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La cà dei cani. Cronaca milanese del secolo 14.
cavata da un manoscritto di un canattiere di Barnabo Visconti
di Carlo Tenca
Editore Borroni e Scotti Milano
1854 pagine 168

   





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