Ad alcuni fece tagliar le mani, a cinque nobili milanesi fece cavar gli occhi, e ad un sesto gliene fece cavar uno solo, acciocchè servisse di guida a ricondurre nella città i suoi compagni; le donne venivano violate, mutilati gli uomini. Nè men barbari erano i guasti fatti per le campagne: tagliate le viti e gli altri alberi fruttiferi, abbruciate le messi, incendiati i casolari. Ai Cremaschi, intimando di arrendersi sotto pena della sua indignazione, fa impiccare 40 ostaggi dei loro presi in tempo di pace, ed insieme con questi vengono morti con lo stesso supplizio sei deputati Milanesi mandati a Piacenza, uno dei quali era nipote dell'Arcivescovo(3). Fece inoltre costruire una torre di travi posta sulle ruote e legarvi gli altri ostaggi cremaschi, e spingendola verso la città obbligava in quel modo i Cremaschi alla scelta o di essere i carnefici dei loro concittadini, dei loro parenti ed amici, ovvero di sacrificare la patria loro.
I Milanesi vagavano raminghi per alcuni anni nei dintorni della loro desolata patria, quando il mal governo di Federico fece conoscere a gran parte della Lombardia il bisogno di unirsi, di formare una lega e di abbattere in Federico stesso il comune nemico. Agli interessi de' Milanesi aveva congiunti i suoi il pontefice Alessandro III, guidati tutti dal solo principio di torsi dalla dispotica dominazione dell'Imperatore. L'assunto era malagevole, nè pareva possibile il formare una lega fra molte città oppresse, dominate e sospettosamente custodite da un terribile vincitore; nè il papa aveva forze bastanti per farvi contro.
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