Quel rito funebre era comandato dalla patria pei figli della patria, ed ogni cittadino vi era associato come a domestico lutto. Una voluttà amara invogliava al pianto; ma quel pianto era insieme tributo di pietà, di amore e di riconoscenza. Ciascuno ripensava seco stesso e i forti che erano caduti per romperci le catene, e i superstiti alle generose vittime quivi presenti, nei quali la gioja della patria salvata veniva così dolorosamente in contrasto colle memorie domestiche, coi cari effetti di parentela e di amicizia, e la Religione finalmente, suprema consolatrice degli uomini, che santifica il dolore deposto a' pie de' suoi altari.
Secondo il programma, antecedentemente pubblicato per cura del Governo(56), alle dieci antimer. movevano alla Cattedrale i molti e varj capi rappresentanti della milanese cittadinanza, preceduti ciascuno dalla bandiera tricolore velata in gramaglia. Il Governo provvisorio, seguito dai consoli e dagli inviati esteri, prese posto nel presbiterio, e quindi lungo la navata maggiore tutti gli altri ordini in ragione della loro importanza. Monsignor Arcivescovo pontificò il rito funebre, e, finita la Messa, versò le acque lustrali intorno al feretro. Il signor Merini, prevosto di San Francesco da Paola, disse dal pulpito la commemorazione pei cari defunti, a cui era consacrata l'espiatoria cerimonia. La vasta Cattedrale parata a lutto(57) con parca, ma appropriata magnificenza, sfolgoreggiava di lumi, di bandiere, di iscrizioni recanti i nomi degli estinti: numero non grave se pensiamo alla grandezza del trionfo ottenuto, gravissimo se ci ricordiamo che ci erano fratelli, ancor più caramente diletti adesso che per loro mercede riposiamo tranquilli sui nostri redenti focolari.
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