Se non cadesse nel tempo presente questo sarebbe veramente un pensiero classico. I Gesuiti devono già essere fuggiti a Chiari. Qui accaddero e accadono ancora delle pazzie; jersera, dopo che al nostro arrivo si era raunata tutta la popolazione, e che tutti, tanto quelli colla barba che senza, ci aveano salutati assai cortesemente, doveva essere illuminato quel quartiere della città dove abitiamo. In quella circostanza si dovevano fare degli evviva alla Costituzione e simili, ma per fortuna piovve. Verso le 8 ore però si raunò una immensa moltitudine innanzi al nostro albergo gridando: Viva il Vicerè, viva l'Italia, la Costituzione; fuori il Vicerè, abbasso i Gesuiti! ecc., ecc.; e siccome non fruttarono nulla le parole del Podestà e del Delegato, e quella gente dichiarava di voler andarsene tranquilla a casa appena avesse veduto il Vicerè, comparve questi al balcone, e fu ricevuto con immenso applauso. Le grida continuarono quando egli si era già ritirato, e i capi della sommossa si portarono dal Delegato, e dichiararono che papà dovesse pubblicare anche qui le concessioni arrivate da Vienna e già pubblicate da Pallfy a Venezia. Ma siccome non era arrivato nulla, si mandarono in pace, ed essi gridarono partendo: Domani alle dieci, ed alcuni aggiunsero: armati. Allora ognuno perdette la testa: tutti si credevano già messi allo spiedo, arrostiti, ecc., ecc.; si decise di andare a Mantova, ed anzi di partire alle 2 ore della notte. Era già dato l'ordine di fare i bagagli, quando la signora madre che per evitare ogni conflitto col militare, e per le altre cagioni che tu conosci, pendeva assai per questo espediente, mi chiamò e mi domandò cosa io ne pensassi.
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