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      Venuto un giorno nella mia stanza, trovando un libro di scrittore elegante ma di stampa scorretta, mi raccomandava di scegliere meglio, perchè da una lettera, dicev’egli, omessa o aggiunta o spostata, il bello talvolta ci perde. Stampò con nitidezza splendida e con buone note la Vita di S. Girolamo d’un del trecento; e in una delle note corresse lo sbaglio del Monti che, nel vituperare gli sbagli della Crusca, sbagliò talvolta più gravemente egli stesso, e vietava che l’in accoppiato a aggettivo, potesse ora significare negazione e ora intenzione d’atto o di qualità. Conferma il Rosmini il doppio uso opposto con esempi di grandi Latini; e questa era non pure filologica ma filosofica verità. Nè il Monti, impaziente delle contraddizioni per solito, l’ebbe a male; sì perchè buono nella sua debolezza, sì perchè nel giovane riprensore delle sue riprensioni troppo giovanili vedeva animo non avverso; e sì anche perchè l’Abatino era gentiluomo di razza e ricco e amico di ricchi e di gentiluomini; del Trivulzi fra gli altri, alla cui moglie fu dedicato da ultimo il poema sacro alla dea Feronia, dedicato in prima a Pio VI papa.
     
     
     
      IV.
     
      È qui luogo a dire d’un suo scritto intorno agli studi della lingua, in risposta a una lettera di Pier Alessandro Paravia, che fin dal soggiorno di Padova ebbe familiarità col Rosmini, e fin d’allora fra gravi difficoltà coltivava le lettere con amore raro, schivo sempre da quelle lotte che fanno dello stile un pugnale o una coltella da selvaggi apritrice di crani.


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Antonio Rosmini
di Niccolò Tommaseo
pagine 147

   





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