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      Il Rosmini tratta la questione con intendimenti più profondi e più ampi che il Cesari e il Monti, ancorchè dia troppo allo studio e all’imitazione de’ vecchi. Ed è bello vedere quella schiatta veneta il cui dialetto, de’ più gentili e più puri, poco mancò che non diventasse la lingua d’Italia e non le desse unità; quella schiatta che dal Bembo al Gozzi rimise in onore le eleganze toscane in Toscana stessa neglette, abbia fino a’ dì nostri mantenuto questo retaggio di riverenza e di amore fraterno: nè io direi caso che un Veneziano ristaurasse il sepolcro di Dante in Ravenna, e un Veneto il sepolcro del Petrarca in Arquà, che un Veneziano difendesse la memoria di Dante da certi topi roditori che uscivano di sotto alla lava, che un Veneto ristampasse accresciuta nel secolo nostro la Crusca, che più libri toscani uscissero dalle venete che dalle toscane stamperie; che in terra veneta avessero non breve soggiorno, arringando e scrivendo, apprendendo e insegnando, Dante e il Petrarca, Torquato Tasso e Galileo Galilei.
      Il Rosmini già fin da quel primo lavoro dimostra la sua tendenza alle feconde generalità: ma sebbene egli accenni il desiderio d’andare alla fonte del male, di mettere la scure alla radice, di ridurre la questione a principî, e’ la accetta però quale è posta da altri, secondo quell’altra sua naturale tendenza di accomodare non le opinioni ma il linguaggio alla varia occorrenza de’ casi. Ma non può ad ogni modo ch’e’ non riguardi come più rilevante il lato morale del suo soggetto; che non noti come fin negli studi della lingua richieggasi fatica congiunta ad amore, come delle cause della barbarie una sia l’infingardaggine, un’altra lo spirito povero e l’illiberale e angusto animo; nota come le false opinioni vengano da sentimenti falsi; mettendo alcuni ogni virtù nell’impeto e quasi nel furore, altri nel tenero e nello smaccato chiudendo ogni pregio, altri finalmente in un certo fastoso apparato di scientifiche allusioni; e così coll’indole dell’animo e della mente propria misurando tutte le cose.


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Antonio Rosmini
di Niccolò Tommaseo
pagine 147

   





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