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      IX.
     
      Il Rosmini aveva educato il senso del bello non solo nelle armonie e ne’ colori e ne’ rilievi e nelle strutture della parola, e nel congegno de’ grandi concetti; ma giovanetto ancora era iniziato all’esercizio del disegno(2) e proponeva farne studio e sollievo agli studi: senonchè il suo volo lo sospinse più in alto: e meglio che imitare un fiore o le forme d’un poggio, e far che spiri da esse il sentimento d’un’idea, meglio fu consacrarsi a perfezionare gli spiriti, e il regno delle idee dilatare; meglio che disegnare masse d’ombre o di luce, architettare edifizii di scienza che offrissero ricetto ospitale alle anime stanche, e dal cui pinnacolo poter dominare con l’occhio la soggiacente natura. All’ammirazione continua e quasi domestica dei grandi esemplari dell’arte, l’aveva formato Ambrogio suo zio, del quale egli parlava sovente con gratitudine di discepolo e riverenza di figlio. Questi, e Modesto padre d’Antonio, erano stati nel Collegio di Siena, nel quale convenivano gentiluomini da tutta Italia; e senza tanti vanti di ventosa unità avevasi forse l’istinto dell’unità più che adesso; e l’Italia, per la men servile ripetizione di cose e parole straniere, per la conformità degli studi e delle credenze, per lo spontaneo accordarsi de’ principi anco stranieri che la reggevano a novità fruttuose, per lo stesso men disputare che facevasi d’unità, era moralmente più una. E da’ colloquii dello zio avrà forse il Rosmini attinto, meglio che da’ libri e da’ consigli de’ maestri imitatori del linguaggio toscano per soverchia fedeltà infedeli, il gusto delle toscane eleganze.


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Antonio Rosmini
di Niccolò Tommaseo
pagine 147

   





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