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      Una prova di quella virtuosa divinazione che ho detto, mi sia lecito qui recare: e il parlare di me, ognun vede del resto qui non essere vanagloria. Aveva egli scritto e per mia sollecitazione stampato in Milano un ragionamento di pensatore già maturo intorno all’ordine della Provvidenza che regge le cose mondane; argomento a’ dubbi di molti leggieri e deboli, a meditazioni splendide e alti conforti di molti intelletti profondi; tra quali quel sommo Leibnizio al cui fianco e’ doveva essere collocato nel consesso de’ pochi grandi filosofi dell’intera umanità. Gli si voltò contro D. Robustiano Gironi, uomo livido, nella Biblioteca Italiana succeduto a quell’Acerbi dalla cui venale tutela s’erano tolti ben presto i più celebrati tra i fondatori di quel giornale che fu per lunghi anni nemico d’ogni innocente novità e morditore d’Italiani benemeriti; contro il quale Acerbi scrisse una lettera, che io stamperò, Giovita Scalvini tiranneggiato da lui, lettera che, salvo l’acerbità, pare a me delle prose italiane migliori. Al Gironi io risposi, e con giovanile impazienza per fare più presto portai alla Censura le due copie, o non mi rammento se l’unica, dello scritto senza serbarne minuta. La censura che allora con quel giornale era casa e bottega, non permise la stampa e si tenne lo scritto: e fu sparsa voce, e rifischiato al Rosmini, che io intendessi di scrivergli contro. Io non avevo difesa altra che la sua conoscenza di me, e la mia coscienza: nè degnai di scolparmi, nè mai poscia rivedendolo sentii necessità di toccargliene, e nè anco mi venne al pensiero, che, quand’ero seco, altre cose occupavano.


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Antonio Rosmini
di Niccolò Tommaseo
pagine 147

   





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