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      S’egli al primo udire non dico credesse ma sospettasse, non so; non lo diede però a divedere: e sarebbe equanimità più mirabile. Non dirò quanto cotesta atrocità mi ferisse: dirò che un quarto di secolo dopo raccontandola per confortare chi pareva trovarsi in caso simile, piansi. Un altro saggio della peggio che selvaggia civiltà e della crudeltà squisita degli uomini letterati mi toccò di lì a poco. Che, avend’io osato un cenno sopra l’intendimento di certa tragedia che commendava il suicidio com’atto d’eroi, l’autore, fatto inviolabile e dal nome e dalla ricchezza e da amicizie potenti, che nulla aveva a temere dalla noticina d’un giovane ignoto e straniero e solo nel mondo, si querelò che io con essa lo mettessi a pericolo di perdere una cattedra di cui l’odiatore della tirannide riscuoteva fedelmente il salario senza averne necessità e senza avere uditori; e ricorse all’autorità, e pose in opera le brighe d’amici di Corte, e impetrò da quella Censura ch’egli fingeva d’abbominare che il libro fosse interdetto; e la Censura che lo aveva approvato ingiunse che a tutti gli esemplari facessesi un carticino e la nota ribelle al nuovo tiranno odiatore de’ tiranni fosse cancellata: ma quella cancellatura appunto rimane in ben altro libro macchia ad essi indelebile, macchia e punitrice.
     
      XIII.
     
      Rinnalziamoci a memorie migliori. Lo studio dell’alta scienza era al Rosmini famigliare fin dagli anni più verdi; così come ne’ più maturi dalle ardue e fredde altezze della dottrina e dalle sue ruvide aridità egli passava a diporto ne’ giardini dell’arte, e alle astruse letture le eleganti alternava, trovando il solido vero nelle nitide forme del bello.


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Antonio Rosmini
di Niccolò Tommaseo
pagine 147

   





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