E anco qui ricorre a’ bambini, i quali egli soleva fin da’ giovanili suoi studi osservare lungamente, quasi libro di minuta scrittura e abbreviata ma bella; e con l’anima interrogava i menomi atti sfuggevoli e il profondo dell’anima loro, la indovinava con divinatrice affezione di madre. Anzi raccontava egli stesso come de’ suoi primi pensamenti infantili, distintamente avvertiti, avesse coscienza riflessa, e però rimembranza. Dalle prime impressioni dell’infante inconscio di sè, dalle sue prime espressioni del sentimento indeterminato, anzi dell’istinto, al complesso e al viluppo delle idee e passioni dell’uomo maturo consumato nel bene o nel male; dal grido della bestia al sillogismo del filosofo; tutto egli voleva osservato, computato. De’ più tenui fatti voleva tenessesi conto; e le statistiche raccomandava, e ne porgeva, ben meglio che il Gioia, le norme; e rigettava le ipotesi mere, egli che poteva esserne sì fecondo per pompa d’ingegno, egli non accetto a que’ positivi la cui scienza del dubbio e della negazione è tutta una filza d’ipotesi. La filosofia della quale egli intende far base a tutte le scienze, s’inchina religiosamente non solo d’innanzi a Dio ma d’innanzi all’atomo impercettibile nel quale è un universo d’idee; e ben può dirsi di lei quello che del poema suo dice Dante, che ci ha posto mano e cielo e terra. Nel cogliere il bel mezzo della questione il Rosmini ne tocca, quasi con le ale tese della mente, i due estremi; onde il pericolo che i leggieri o i passionati staccando una sua proposizione dall’altra, ci veggano contraddizione: ma le sono di quelle contraddizioni che fanno apparire sì grande l’ingegno d’Agostino, che fanno misteriosamente splendido il Cristianesimo, terribilmente sublime l’umana natura.
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