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      Le quali avrebbero vie meglio dimostrato quanta poesia s’ascondesse ne’ pensamenti di quell’anima austera: poesia che, anco quale traspare dalle opere che ne abbiamo, se già non fosse grazie al Cielo passata la stagione de’ poemi didattici, offrirebbe materia a ben più sereno e più imaginoso e più affettuoso poema che non sono quelli di Lucrezio gentiluomo romano, del Polignac principe Cardinale della Chiesa di Roma, e dello Stay gentiluomo raguseo e segretario de’ principi della Corte di Roma. Il Rosmini, che fu cardinale e non fu, ma non fu mai cortigiano se non di principe scaduto, gentiluomo povero nella ricchezza, e veneratore della sventura dovunque ella fosse; il Rosmini è più poeta nella filosofia che ne’ versi, e più nella vita che nella filosofia: e lo dimostra, fra le altre cose, quant’egli dice dell’applicare l’imaginazione, nella sua potenza più affine al sensibile, ch’egli chiama sensi immaginarii, alle meditazioni religiose; quello ch’egli ragiona intorno alla fantasia, e in ispecial modo intorno alla vita della materia che a noi pare inanimata, alle leggi degli enti e alla loro armonia.
     
     
     
      XVIII
     
      Ma la sua ricchezza d’idee, invece di raccorla in breve spazio, quasi monete preziose serbate agli usi di pochi più ricchi, e’ s’ingegnava spartirla in monete spicciole, e fare a tutti gli spiriti comune al possibile il commercio del vero. Nè a ciò lo portava l’ingegno per ismania di loquacità, lui che fin da’ primi studi, cerneva le idee più importanti dalle meno, e di queste liberava la memoria, acciocchè avesse di quelle più pieno dominio la mente.


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Antonio Rosmini
di Niccolò Tommaseo
pagine 147

   





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