Con questo discernimento egli pregiava il Cesari più che non si facesse da tanti, e riconosceva in lui molto più sapere che dalle opere sue non appaia. Così discernendo i germi del bene nel male stesso, e i difetti negl’ingegni ammirati, non si lasciava nè abbagliare all’affezione nè allo zelo offuscare.
Della probità sua nel recare le sentenze d’altri autori, nel non dissimulare le avverse, nell’ingegnarsi di conciliarle alle proprie senza sforzo prima di combatterle, nell’attribuire a ciascuno il merito suo, nel riconoscere debito ad altri anco il germe di quella verità ch’egli ha poi fecondata (germe impercettibile talvolta, che potevasi senza punto vergogna lasciare nascoso); di tale probità superfluo fare lungamente parola. Nessuno forse penetrò più addentro di lui nelle dottrine dell’Aquinate, ingegno sereno ancor più che profondo, anima generosa non meno che pura, che i suoi ardori raccolse sotto la fredda e bruna scorza dell’argomentazione, come la terra, che nella sua faccia ha massi e acque e rena, cela dentro le fiamme. La filosofia italiana, da’ Pittagorici al Galluppi, ha da Rosmini l’onore debito, anzi più grande onore di quel ch’ella seppe acquistare a sè stessa; perchè il Rosmini è tal mente e tal cuore che non solo non tiene di potersi far bello dell’altrui, ma non può a meno che non doni del proprio ad altrui, come corpo lucente, che non sarebbe lucente se gli altri non raggiasse di sè. Di coloro de’ quali e’ non può accettare in intero le opinioni, attenua con rispettoso linguaggio i difetti, dicendo per esempio: colsero il principio, ma non lo espressero bene.
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