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      Anco a coloro da cui dissente, dà lode, se, pure errando, come pare a lui, abbian fatta punto avanzare la questione: giacchè nella ricerca e del Vero e del Bene due sono i processi, sapere ove stia il punto da cogliere, e coglierlo; e l’uno e l’altro processo ha i suoi gradi. Non è però che a’ più benemeriti egli non serbi più riconoscenza, e più ammirazione ai più grandi: ammirazione che il più sovente si esprime con una modesta ma efficace parola: appunto come ne’ suoi colloqui il Rosmini quando cadesse di dover comparare uomo con uomo, non faceva paralleli lunghi ne’ quali la lode dell’uno tornasse in depressione dell’altro, ma con un levar delle ciglia, con un accento anzi più sommesso che più forte rendeva onore a certe grandezze incomparabili, e senza volerlo metteva a posto certe beate petulanze.
     
     
     
      XXII.
     
      Giudicava se stesso più rettamente che molti tra i privilegiati di autorità e d’ingegno non sogliono. Non si avvedere del proprio ingegno e del sapere acquistato e del bene ch’egli amava e operava non gli era certamente possibile: giacchè la coscienza di quel che uno è e fa, è condizione di virtù e di scienza e di non irragionevole vita: ma sentiva insieme, tanto più vivamente quant’era più buono e più grande, quello dove il suo ingegno era minore di tale o tal altro, dove la sua virtù era minore dell’alta idea che ne aveva egli stesso. Onde la sua stessa altezza lo difendeva dall’alterigia vana; ed e’ soleva dire parergli impossibile la vanità. E veramente chi mediti quel ch’è Dio e quel ch’è l’uomo, quel poco che l’uomo sa e può e quel moltissimo ch’egli desidera e deve, non può insuperbire se non in momento di distrazione o di letargo o di spirituale malattia che gli tolga il vero sentimento di sè. Non intendeva il Rosmini che uomo non potesse appisolarsi o ammalare; intendeva ch’e’ non potesse patire di superbia, desto e sano.


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Antonio Rosmini
di Niccolò Tommaseo
pagine 147

   





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