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      E qui sia concessa al mio cuore una memoria di gratitudine e di pietà riverente. Io conobbi in Firenze il Lamennais l’anno 1832, quand’egli da’ principi schiettamente cattolici deducendo le norme del vivere libero, e, contraddetto dai Gallicani, aizzati per vero da lui con parole più incaute che maligne, per disfarsi di loro si pensò di prendere il bordone di Pellegrino e ire a Roma a provocare l’oracolo della S. Sede sopra questioni che non eran di domma: e, interrogato da me che sperasse, rispose: nulla; la qual parola mi fu augurio sinistro. Egli sperava però per lo scrittore dell’Avenir parte almeno della festosa accoglienza già fatta all’autore dell’Essai sur l’indifférence: tant’era nuovo degli uomini e di sè il prete letterato che aveva già cinquant’anni. Andò, e non ebbe udienza dal Papa che a patto non s’entrasse punto di quello perchè egli veniva. Gregorio gli diede non so che cose sante, e lo rimandò pe’ fatti suoi, cioè a scrivere Les Affaires de Rome, e quel di più che sapete. Quand’io giunsi in Parigi, il Lamennais si profferse a procacciarmi utili conoscenze e a fornirmi della sua poca mobilia, egli povero e devoto a sempre più rigida povertà, una stanza da spendere meno. Non profittai nè delle conoscenze nè de’ mobili; ma la profferta di quell’illustre infelice, di quel valido traduttore di Dante, mi starà nel cuore fin ch’io abbia memoria di me stesso. E diviso poi d’opinioni, sempre l’amai; e, rivistolo nel quarantotto, non gli nascosi (nè egli se ne adontò) il desiderio di vederlo ricomposto nel seno di quella grande società che gli aveva data già fama e pace.


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Antonio Rosmini
di Niccolò Tommaseo
pagine 147

   





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