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      Ma il Rosmini era giovane ancora; e la sua virtù non ascesa a quel punto di dove, nulla concedendo al falso e al male, imparasi non pertanto a discernerne le occasioni che non lo giustificano ma l’attenuano, e quindi a compatire senza condiscendenza vile nè rea connivenza, a curare con mano meno grave le piaghe rinciprignite già da medici ignoranti e caparbi e spietati. Così quando egli in quel Frammento d’una storia dell’empietà, ch’è tra’ suoi primi lavori, numerava tra gli empî il Constant, pareva che non sapesse assai grado alla Provvidenza del passo ch’aveva fatto dal Voltaire al Constant la povera scienza umana, pareva non discernere nell’errore gradi; egli che poi tanto sapientemente insegnò come gli errori stessi diventino via a verità.
     
     
     
      XXIV.
     
      Che il suo zelo non fosse fosco nè torbo, lo dice la Storia dell’Amore, che non è dell’età sua più piena; ma pure è conferma a quel detto di lui, che amore è d’indole ingegnosissima, giacchè nella stessa legge vecchia egli segna il sentiero che viene l’amore aprendo a sè fra i triboli dell’odio superbo ond’era ingombra la terra. La libertà egli vuole effetto d’amore, al contrario di tanti che la fanno irta di diffidenze, non forte che a repulsioni, scomunicatrice perpetua, e essa stessa anatema vivo. Divisi, dic’egli, dal vero e dal falso amore, i buoni tuttavia amano i loro nemici; e nello stesso amore ritrovano soprabbondante il compenso. Agli occhi suoi un pregio, e non grande, dell’animo, dell’ingegno, dello stile, compensava difetti molti: e cotesta necessità di stimare e d’amare era in lui non solamente generosità ma natura, nè detraeva alla saldezza de’ suoi principi e alla purità degli affetti.


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Antonio Rosmini
di Niccolò Tommaseo
pagine 147

   





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