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      Quello che dice lo stoico del Sapiente, egli in sè l’avverava: Allora nascerà quel bene inestimabile, la quiete e sublimità della mente in sicuro collocata; e respinti i terrori, la gioia grande e immota nella cognizione del vero, e la bontà e effusione dell’animo(4).
      Egli teneva che il mancare della carità impiccolisce il cuore e il pensiero; che i seminatori di dubbio sono crudeli all’umanità; e siccome alla scienza sottometteva la fede, così alla virtù posponeva l’ingegno. E per l’ardente amore del Vero, egli sin da fanciullo si passionava della lettura, e varie ne faceva ogni giorno, disponendo sulle seggiole i libri aperti, e ingiungendo a se stesso il numero delle pagine per conciliare l’ordine colla varietà; e se la madre sopraggiungeva temendo delle prolungate sue veglie, esso con rispettosa amorevolezza le accennava delle dilettevoli cose ch’erano in que’ libri, come per invaghirne lei stessa. E sempre lo studio gli fu bisogno della mente e dell’animo: e non pertanto egli si staccava dallo studio con coraggiosa vittoria per le opere di religione e di carità; e carità stimava anco il soddisfare agli amici. Ne’ quali la virtù gli appariva onoranda più che l’ingegno, e anche senza l’ingegno: e solo l’aspetto della virtù aveva forza d’intenerirlo, intenerirlo fino alle lagrime. Di questa riverenza alle doti del cuore e del libero arbitrio darebbero documento le più che diecimila sue lettere, delle quali, scegliendo l’importante alla scienza e alla storia morale del tempo e alla storia dell’anima sua (giacchè nell’anima d’un uomo raro sono più insegnamenti e più consolazioni che non negli annali sanguinosi de’ popoli, e in quel ritratto è più ideale che non negl’ideali fittizi), ci sarebbe da fare parecchi volumi.


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Antonio Rosmini
di Niccolò Tommaseo
pagine 147

   





Sapiente Vero