Ma l’uomo, ripeto, era migliore de’ suoi libri: sì poco e’ curava d’imbellettarsi o di mascherarsi. Conversando soffriva obbiezioni e contraddizioni, non tanto per ismania d’insegnare quanto per amore d’apprendere; rispondeva in voce e per lettera dichiarando; e gli era scuola anche questa, a studiare le indoli e i bisogni delle menti altrui, e meglio riflettersi nella propria. Accettava e seguiva i consigli, confessava gli sbagli; riconosceva pregi ne’ suoi avversari più acri. E quella sua stessa acrimonia, ancorchè paia troppa talvolta, egli la temperava scrivendo; chè i frizzi, a lasciarli andare, gli sarebbero scoccati assai più pungenti. E dalla risposta al Sr Mamiani, per ristamparla, s’era messo a torre via ogni acerbità, riconciliatosi con sincero animo già da anni parecchi; e il Sr Mamiani, da Italiano vero e da degno amico del Bello, usava ragionando di lui parole di nobile riverenza. A lui toccarono poi guerre ben più dolorose; e fu chi gli negò fede e probità, scienza e mente. Ma destino de’ più perfetti è sovente l’esser più odiati; e i pregi sommi, in chi li sconosca per debolezza o per passione, irritano più incredibili spregi. Io sentii un medico scemo stupire della fama acquistatasi dal Rosmini, e dire: io gli fui condiscepolo; e posso attestarvi che non c’era niente di raro. Più gli uomini benemeriti fanno, e più certuni richieggono arrogantemente da loro, come se il dato già nulla fosse. Mi si racconta che, passeggiando un giorno il Rosmini, cert’uomo gli si accostò domandando danaro; e avutone quattro lire, e volendone cinquanta, si mise a gridargli villania; ma egli seguitò riprendendo il colloquio interrotto.
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