E così molti fanno, che non sapendo bene usare del già ricevuto, e pretendendo di più, si rendono a sè più che al donatore spietati.
XXVIII.
Qui m’è forza dire della contesa che il Gioberti ebbe seco: e il parlarne due anni dopo uscito di vita il Gioberti, e dopo che l’ebbe il Rosmini seguito, e per obbligo dell’assunto impostomi dall’altrui desiderio e dal mio dolore, sia prova delle mie intenzioni. Parlerò com’è debito ad uomo d’ingegno acuto e di studi operosi, di vita pura e infelice, a un morto, ad un offensore. Interrogato il Rosmini del parer suo intorno al libro del Soprannaturale, rispose parole brevi, non irriverenti, e fondate nella mente sua certamente in molte ragioni, e che in lettera privata correvano: ma egli stampò quella lettera senza munirla di prove; e stamparla non era necessario, e quella brevità poteva parere ai leggieri leggerezza, all’autore disistima d’un libro che meritava riguardi. Li meritava perchè di prete (nè i preti oggidì che studino forte, che scrivano potentemente, son tanti da non dover incuorare coloro che pure accennino di mettersi per tale cammino); li meritava perchè quella è l’opera da lui più meditata e corretta, dove più condensate le idee, dove non è messo innanzi il principio dell’intuito diretto, che nè filosoficamente nè teologicamente si può sostenere, nè l’atto creativo ci è posto come cardine della scienza umana, la quale sentenza per essere più che un atto di fede e per diventare un sistema, dovrebbesi dimostrare con ordinate argomentazioni, o almeno comprovarsi con la verità delle sue conseguenze per via di deduzioni ordinate.
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