Il suo delicato sentimento d’artista, affinato dagli abiti dell’ascetico contemplatore, gli è certamente giovato a quell’analisi così sottile, congiunta a sintesi tanto robusta, come grand’albero il cui tronco abbracciabile appena da molte braccia d’uomini tese, s’insinua nell’intimo della terra con radici gracilissime, e s’innalza in vette gentili e tremola in foglie docili a ogni alito. Dalla delicatezza contemperata al vigore gli venne l’austerità de’ principi e la liberale mitezza delle applicazioni; di che gli aveva dato esempio pe’ suoi tempi mirabile il grande d’Aquino. Quel ch’egli insegna del superare gli scrupoli è non meno sapiente che pio. E cotesta malattia dello spirito, parte della quale egli appone talvolta a mala disposizione di corpo, aveva il Rosmini ancor giovane osservata in un Roveretano a lui caro, l’abate Lorenzi, elegante scrittore di prosa latina, il quale negli scrupoli, com’altri ne’ deliri e tutti ne’ sogni, ritraeva l’indole dell’anima sua. Perchè, uscito un giorno di casa Rosmini, rifece le scale e dopo ansioso pensiero ritornò ad avvertire la famiglia come qualmente entro alla zuccheriera ricoperta fosse rimasta presa una povera mosca.
Ma la lassezza de’ principi al Rosmini non piace; e dall’autorità conceduta ai dottori del probabile teologico egli riconosce per una parte la pusillanimità delle coscienze che tenute sull’aculeo del dubbio fannosi inette al franco e civile operare, riconosce dall’altra il fomite di quella ribellione che ne seguì a ogni autorità di ragione e di fede dopo il secolo diciassettesimo per la insofferenza di quell’indebito giogo di meramente umane opinioni.
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