Ma egli, non sacerdote ancora, raccontandomi con parole semplici e ferme la cosa, dimostrava chiaro che quel rifiuto non era sacrifizio ma intuito della sua mente, bisogno della sua vita, istinto dell’indole sua. Maturo in giovanezza, giovane d’anima negli anni maturi, e’ doveva crescere occulto velut arbor aevo; e siccome i pensieri suoi farsi per età più fecondi, così più ferventi gli affetti.
Contento per allora del vivere libero dall’onorata soma di Roma, affidava al tempo, cioè a Dio, le sue sorti. Mi rammento un giorno che, toccando di certi agi allo studio che gli mancavano nell’ampia e ricca sua casa, disse con voce sommessa e quasi assorto in un pensiero mesto per la sua stessa grandezza: io son qui come sotto una tenda. Pellegrino sotto il tetto paterno, ma non straniero a verun affetto nè di famiglia nè di Patria nè d’umanità, egli viveva in mezzo alle apparenze e alle noie dell’opulenza come se avesse già fatto voto di povertà; signore del molto suo avere e de’ voleri propri per virtù e degli altrui per autorità e per amore, viveva come se avesse già fatto voto d’obbedienza. Pronto a ogni chiamata che sentisse venire da Dio, quando gli parve il soggiorno di Milano più confacevole allo svolgimento de’ suoi pensieri, abbandonò la patria non per Roma ma per Milano; e si pose a vivere come dozzinante in un albergo in piazza Santo Sepolcro (quasi presagio del Calvario di Domodossola) vicino alla Biblioteca fondata da quel Federigo Borromeo la cui vita ha con la sua tanto notabili somiglianze, che il Manzoni, scrivendo il romanzo prima che conoscesse il Rosmini e che il Rosmini si desse a conoscere quale poi fu, pare raccontando del Cardinale arcivescovo suo concittadino, essersi ricordato d’esempi ancor non nati e avere dipinto il prete di Stresa.
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