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      Il Rosmini stendeva il disegno delle sue prediche, mancando il tempo di scriverle; ma le faceva più volte a mente, sì che nulla era a caso, e conciliavansi i pregi dell’improvviso e del meditato.
      Nel trentaquattro Rovereto sua patria lo chiama parroco, ed egli, ancorchè il papa se ne mostrasse scontento, per rispondere secondo l’istituto suo a ogni chiamata, scende dal diletto suo monte, e va a fare il parroco daddovero come faceva da prevosto quell’Antonio Muratori, semplice perchè grande, e quanto più buono più grande. Fare il catechismo, visitare i malati e gli afflitti, soccorrere di consiglio e d’elemosina, confessare ogni dì, raccogliere la sera operai che tra esercizi non gravosi di spirito si stornassero dalla taverna e da’ vizi, e così meritare le benedizioni delle famiglie meno affamate e meno maltrattate di prima; erano a lui dolci, ma gravi, cure. Non potendo nel confessionale sedersi per infermità di petto e di stomaco, si teneva ritto: ma, affralito dal lavoro insolito, già sputava sangue. Non tanto per questo, quanto per vedere altri, e non concittadini, ostanti alla sua benefica popolarità, nel seguente anno depose l’incarico; che aggiunse però esperienza al suo senno, e al suo zelo tolleranza, e poi anco alquanto vigore al corpo, riposato che l’ebbe.
      Ritornò quindi a’ suoi confratelli; e nel trentanove, approvata da Gregorio XVI la Società, fece i voti solenni il dì del suo battesimo, il dì 25 di marzo: e ne aveva, dopo molto esitare fermato il proposito il dì 25 di dicembre del 1825. Elettone a mal suo grado Generale, non fece pesare sopra nessuno la propria autorità, serbandola spirituale in tutto e sempre, e per sè ritenendo le men facili dipendenze.


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Antonio Rosmini
di Niccolò Tommaseo
pagine 147

   





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