Io non lo credo; e so che non si muor di dolore. Quanto allo sdegno, così non si sfoga, così non si cela lo sdegno. Nominaronsi i padri Gesuiti; e io dirò de’ padri Gesuiti senz’odio o paura di loro, senza paura punto degli avversi a loro. Io che, quand’erano deboli e vinti, li difesi, così come feci i Tedeschi datisi vinti, quant’era in me, dagli oltraggi di pochi più ardenti che generosi, li difesi per quella ragione che altri avrebbe assalito, perchè impotenti e perchè non amici; e così facendo non speravo nè gratitudine nè compassione, e non l’ebbi, e nella risposta non provocata a un mio libro mi sentî da taluno di loro rinfacciare con lepidezza tanto cristiana ed urbana quanto coraggiosa ed arguta la disgrazia della mia cecità (di che li ringrazio, perchè tale linguaggio mi sdebitò da repliche lunghe); io non ispero adesso scusa da loro a’ miei veri o supposti sbagli se affermo che gli assalti al Rosmini non vennero dalla Compagnia tutta quanta, che taluni di loro l’hanno in onore, che gli assalitori manifesti si credevano forse di fare cosa lecita e buona; e a questo affermare m’induce la troppo dolorosa esperienza che mostra come nelle discordie e letterarie e civili e religiose gli affetti, non che le passioni, illudano la coscienza. Non usurpiamo (parole d’esso Rosmini) il giudizio di Dio, non giudichiamo nè condanniamo alcuno. Ma poi soggiungo che se taluno, chierico o avverso a’ chierici, si fosse figurato tanto potente da turbare la pace d’Antonio Rosmini, si sarebbe tristamente ingannato; perchè il vapore di stagno breve non può togliere il sole all’ampia foresta che ascende ardua le spalle della montagna.
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