Da questo segreto impaccio dell’affetto il Rosmini si sviluppava col senno del cuore, e trovava parole poche e umili ma efficaci per significare sè non ingrato all’altrui pietà e non abbisognante di quella.
Un giorno a un suo intimo: non sono afflitto; non pensate a me: parole tanto più credibili quanto più semplici, e semplici perchè profonde. Il buono è dolente, ma non afflitto; fin negli spasimi non s’abbatte, e si regge sopra di sè; esercitando più vigorosamente la vita della virtù, sente più salda la virtù della vita. Nessun disinganno gli era toccato, perchè fin dagli anni delle illusioni egli aveva dimostrata ad altri e a sè la vanità angosciosa di quella speranza che è mantice agli affanni del timore, e da cui col timore insieme prorompono ira e odio; e fin negli anni che ad altri apportano la verità di ingrate esperienze, egli nutriva quella speranza fortemente tranquilla che il cristianesimo fece virtù, che unifica la fede e l’amore. Onde la speranza di lui era conciliata con la rassegnazione in modo divino, perchè non opera del filosofo o dell’uomo ma di quel Dio nel quale egli s’abbandonava. E, finchè i medici lo speravan essi, sperò di vivere per continuare i lavori e i patimenti; anche diffidato da loro, sperò nelle orazioni de’ buoni; quando vide di lontano venire la morte, venerò in essa Dio, e sperò di morire.
Diceva a’ suoi che, vivesse cent’anni, avrebbe sempre nuove opere da dettare: e chi vede nelle già scritte i germi di verità non isvolti ma compiutamente formati nell’essere loro, chi fruì de’ colloqui di lui, gliene crede.
| |
Rosmini Dio Dio
|