Il suo vero dolore, il meno comprensibile a certuni, era il pensiero del danno che da certe differenze poteva esser fatto al culto della verità, e segnatamente a quello dell’idea cristiana: ma in questo pure aveva conforti sovrabbondanti a’ dolori. Perchè, quanto a’ suoi cari, egli li rimetteva nelle mani di Dio con tale fiducia che, contentandosi di raccomandarli all’affetto d’un amico privato, il prof. Corte, dotto e degno uomo ma senza autorità nè di chiesa nè di corte, pur come amici, contento di rammentare una volta il suo povero Istituto, non ne moveva parola se non interrogato, nè di quello, nè delle opere che lasciava imperfette; e ciò mentre ch’era tanto presente a sè stesso da voler sapere infino all’ultimo e delle lettere e degli ospiti che capitavano, raccomandando che a questi fosse usato ogni cura. E quanto alla sorte della Chiesa, la sua fede era ferma; e, malato, grave, dava a un amico per soggetto d’un libro la vita del Cristianesimo perpetua e sempre maggiormente feconda. Perchè erano sue massime, non solamente che l’uomo quanto a sè deve essere rassegnato e a breve e a lunga vita, che dee avere scritte nella mente le ragioni della propria insufficienza e inutilità, che tanto della privazione de’ beni anco spirituali dev’egli godere, se voluta da Dio, quanto del loro acquisto; ma ch’egli ha a tenersi in perfetta tranquillità, in gaudio pieno, senza ansietà, nè anche quella che par riguardare il solo bene della Chiesa, allorchè paia a lui combattuta ed oppressa.
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