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      Pronti e acuti in lui tutti i sensi: l’odorato potente di finezza gli apportava in un giardino di fiori delizie ignote fino alla delicatezza delle più tra le donne, ma ne lo gastigava poi con l’incomodo d’ogni alito men che grato, insensibile ad altri. E così l’orecchio s’inebbriava non solo di musica eletta, ma eziandio di pronunzia sonante e pura. Sovranamente notò l’Aquinate che gli uomini di più fino intelletto hanno il tatto più fino; e ognun sa che a tatto riduconsi tutti i sensi.
      Commozioni erano, non agitazioni, le sue, sì nella gioia e sì nel dolore; intellettuali i diletti, cordiali i pensamenti, serene le dispiacenze, le allegrezze raccolte, meditato l’istinto del bello, l’amore della verità ispirato, elegante. Quel ch’egli nel libro Della Coscienza dice contrapponendo alla passione e al suo latrato la ragione e il soave suo canto, lo avverò nella vita, e la natura, non pur modello ma specchio dell’uomo e simbolo pregno di presentimenti non solo alla fede e all’affetto ma alla ragione e alla scienza, la natura volle questo adombrato nella stessa sua morte; che ai gemiti dell’agonia rispondeva un russignuolo dal vicino giardino, e restati i gemiti, il canto si tacque. E veramente, com’io fin dal principio del troppo lungo mio dire accennavo, la vita di quest’uomo è riuscita un concento in cui la melodia spontanea soprannuota (mi sia lecito il modo) alla profonda armonia. Egli che per autorità filosofica citava insieme con frate Rogero Bacone e con papa Silvestro II Leonardo da Vinci; egli che nel libro scritto di sedici anni rammentava con memoria pura la nota storia di Zeusi e raccomandando a sè la purità e l’ornamento della favella, recava gli esempi di Paolo e di Girolamo; egli che giovanetto dalla impressione del dramma tragico era eccitato a orare in teatro a Dio, e maturo affermava che i romanzi inondanti da più d’un secolo giovarono a far pullulare la vena dell’affetto inaridito dalla sofistica e dalla scienza della materia; egli che nella capace anima trovava luogo al Winkelman insieme ed al Kempis, ai sermoni d’Orazio e ai sermoni del Grisostomo (accordandosi meco nello stimarlo la voce più eloquente del genere umano, perchè più universale il concetto, più piena la verità, lo zelo più puro da sdegni, più libero da passione l’affetto nella sua veemenza, meno cercati gli artifizî nel pieno dell’arte, più copiosa senza ridondanza la vena); egli doveva portare la sua vocazione e la storia dell’anima sua scritta quasi in caratteri abbreviati ne’ nomi che sul fonte del suo battesimo gl’imposero i suoi genitori.


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Antonio Rosmini
di Niccolò Tommaseo
pagine 147

   





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