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      A quella novella Abramo non stette a pensare nè il disagio nè il pericolo, tolse trecendiciotto de’ suoi servi, e corse a liberare il nipote e tutti coloro che andavano prigioni seco. Perchè Abramo era buono, e coraggioso; e l’amor del congiunto e di tutti gl’infelici non si contentava di mostrarlo con lezii o con lamenti, ma sapeva fare fatti, a un bisogno. Lot, dimorando in città, aveva perduto forse di quel vigore che la sua natura gli diede; ma Abramo, per valli e per montagne, sempre nel prospetto del cielo immenso e dell’ampia campagna, conservava robuste e le membra del corpo e i sentimenti dell’animo. Corse co’ suoi trecendiciotto che gli servivano, ma con fidato amore, e con familiarità come di figliuoli servivano; buoni e al lavorare e al combattere.
      Camminò lunga via, prima d’arrivare i nemici; i quali aveva la vittoria resi già spensierati, perchè la lieta fortuna a molti è cagione di mali grandi. Per piombar loro addosso, aspettò il buon Abramo la notte, acciocchè quei pochi suoi nel buio paressero ancor più. Piombò addosso ai vincitori, e li spaventò e li disperse, e li inseguì buon tratto di via: e ricondusse salvo Lot il nipote con la sua famiglia e la sua roba, e tutti i prigioni seco. Allora il re della città dove Lot abitava, si fece coraggio e uscì fuori, e si rallegrò con Abramo.
      Venne anche un altro re, che aveva nome Melchisedecco, il quale era insieme e re e sacerdote perché gli antichi patriarchi in que’ tempi semplici trovavano modo di fare le due cose bene.


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Esempi di generosità proposti al popolo italiano
di Niccolò Tommaseo
Edizioni Paoline
1966 pagine 258

   





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